Di meraviglia e vergogna: 80 anni di streptomicina

Accadde oggi: il 19 ottobre 1943 veniva scoperta la streptomicina, un importante antibiotico, il primo che fosse efficace contro la tubercolosi che all’epoca era una delle malattie peggiori in circolo. Fu una scoperta che valse il premio Nobel, ma ingiustamente solo a uno degli autori. Dietro le quinte, una storia molto brutta di persone che si scontrano per la paternità del lavoro.

Innanzitutto, a purificarla e isolarla fu un dottorando, Albert Schatz, che la estrasse da un batterio chiamato Streptomyces griseus, che aveva prelevato inizialmente da un campione di terreno concimato. Si tratta di un batterio molto comune nel suolo, dove forma spore che talvolta possono essere sollevate dal vento e accidentalmente inalate o ingerite dagli animali. La sua collega Doris Jones per esempio prelevò un campione biologico dalla gola di una gallina sana e passò le colture ottenute a Schatz che vi trovò proprio Streptomyces griseus. Ebbe così due ceppi a disposizione.

Gli streptomiceti a loro volta erano parte di un gruppo più ampio di batteri importantissimi per le loro interazioni nell’ecosistema, detti attinomiceti (il nome “micete” rimanda ai funghi, perché inizialmente si pensava fossero tali, dato che formavano quelli che al microscopio sembravano erroneamente filamenti fungini).

Albert Schatz

Il suo supervisore era Selman Waksman, che aveva avviato un laboratorio di successo in microbiologia del suolo alla Rutgen University, incentrato sullo studio dei batteri presenti nel terreno per verificare se producessero composti potenzialmente utili in altri ambiti – come la medicina, in particolare sul profilo battericida. Era, Waksman, un professore autorevole, autore di uno dei testi universitari di riferimento sulla materia per l’epoca, e che godeva di molto prestigio accademico. Fu lui a impostare e indirizzare in origine un filone di ricerca sugli attinomiceti e in particolare su Streptomyces, di cui esistono innumerevoli specie da catalogare e analizzare oltre a S. griseus.

L’interesse per questi batteri gli venne durante gli anni universitari e decise di affidare una parte della ricerca a Schatz, che si era rivelato uno studente brillante fin dalla triennale e che aveva speso un periodo nell’esercito in un ospedale militare dove aveva raffinato le sue tecniche.

Gli viene comunemente attribuito di avere coniato il termine “antibiotico” nel 1941. Schatz però sostiene era già presente in un lavoro precedente di Papacostas e Gate del 1928.

Selman Waksman

L’idea di cercare antibiotici efficaci contro la tubercolosi fu però suggerita da William Feldman, un veterinario della Fondazione Mayo che si era costruito una carriera nello studio della malattia. All’inizio Waksman era riluttante in quanto il microrganismo responsabile, Mycobacterium tubercolosis, era un agente infettivo molto pericoloso e non voleva che venissero condotti esperimenti nel suo laboratorio. Riteneva inoltre che ci fossero poche probabilità di trovare un antibiotico efficace poiché questo batterio possiede uno spesso rivestimento protettivo. Per la verità lui stesso aveva già isolato in precedenza un antibiotico efficace contro la tubercolosi, l’attinomicina, ma si era rivelato estremamente tossico verso le cavie da laboratorio, non poteva diventare un farmaco.

Schatz però lo convinse che valesse la pena dedicarvisi. Aveva visto di prima persona quanto terribile fosse la malattia e quante persone all’epoca morivano a causa sua, inclusi suoi amici d’infanzia (Schatz proveniva da una famiglia operaia in contesti poveri e più vulnerabili). Era chiamata “la grande peste bianca” e si stimava avesse ucciso un miliardo di persone nel corso della storia. Lo stesso Feldman avrebbe contratto in seguito la malattia, probabilmente a partire dalle colture che maneggiava nel suo istituto, ma per sua fortuna sopravvisse. Così, cominciò un duro lavoro di campionamento, setacciamento e analisi di batteri alla ricerca di qualcuno che facesse dire “centro!”, in un laboratorio nel seminterrato di un edificio dell’università.

Non fu facile condurre la ricerca. C’era la seconda guerra mondiale in corso, i materiali da lavoro erano razionati inclusi i reagenti chimici e gli ingredienti necessari per gli esperimenti. Schatz nelle sue memorie racconta di come riciclasse certi solventi, vista la loro penuria, e di come pulisse di persona tutte le piastre Petri per poterle riutilizzare (erano fatte di vetro, anziché di plastica come oggi). Ma soprattutto Waksman ordinò a Schatz di lavorare in un seminterrato, senza assistenti, senza far uscire i campioni batterici dal suo laboratorio, nemmeno per analizzarli in un’altra stanza con tutte le precauzioni di sicurezza necessarie.
Schatz dovette dormire lì dentro su una panchina di legno, chiedendo al custode di svegliarlo qualora il liquido contenuto negli alambicchi da cui distillava i composti scendesse al di sotto di una linea rossa che vi aveva tracciato sopra, di modo da riempirli. Tradusse anche, di proprio pugno, articoli scientifici in francese, tedesco e russo sulla competizione tra batteri, in particolare relativi agli attinomiceti. A quell’epoca non c’erano Google Scholar o PubMed per trovare in pochi clic migliaia di articoli su internet, la tua università doveva avere delle copie cartacee, e molti lavori fondamentali non erano disponibili in inglese.

Nelle sue memorie, Schatz arriva a dire con una punta di polemica che il suo supervisore Waksman non ebbe nulla da insegnarli, in quanto le tecniche da lui impiegate erano insegnate a tutti alla triennale oppure le aveva apprese durante la pratica nell’ospedale militare.

Schatz sostiene inoltre che Waksman era spesso via, tanto che non mise mai piede in laboratorio durante quel periodo carico di lavoro, e che il suo unico contributo fu quello di fornirgli un magro stipendio – a quanto pare il più basso dell’università tra i dottorandi. Fuori dal laboratorio con la sua panca di legno, Schatz non poteva permettersi un appartamento e dovette dormire in una stanza del dipartimento di fisiologia vegetale, preparando in cambio dell’alloggio soluzioni idroponiche, annaffiando e fertilizzando le piante, pulendo i locali, controllando la temperatura delle serre e altre cose.

Lo stesso Schatz però ammette che Waksman voleva stare il più lontano possibile dal batterio della tubercolosi perché ne aveva molta paura, e a ragione. Era un batterio mortale, non erano ancora disponibili terapie, negli ospedali c’erano reparti interi dedicati alla sola tubercolosi. Il laboratorio inoltre era attrezzato per la più tranquilla microbiologia del suolo e non aveva le misure di sicurezza oggi obbligatorie per i ceppi patogeni studiati nei laboratori biomedici.

Alla fine, i sacrifici fatti vennero ripagati, quando una sostanza che aveva estratto da entrambi i ceppi di Streptomyces griseus a sua disposizione e poi purificato mostrò di uccidere Mycobacterium tubercolosis. Altri ceppi della stessa specie di batterio , già a disposizione di Waksman, non la producevano. Schatz decise di chiamare questa sostanza streptomicina, prendendo spunto da un altro antibiotico, la streptotricina, che l’anno prima Waksman aveva isolato assieme ad Harold Woodruff da un altro batterio, Streptomyces lavendulae.

Fu a questo punto che Waksman si ricordò del suo allievo e si interessò alla sua ricerca, introducendosi (intromettendosi?) come mentore e coordinatore delle fasi successive.
Schatz poi passò i campioni di streptomicina a una studentessa magistrale, Elizabeth Bugie, che confermò con ulteriori test la sua scoperta e provò l’efficacia dell’antibiotico contro numerosi altri batteri.

Elizabeth Bugie

I tre (inclusa Bugie) scrissero un articolo scientifico pubblicato all’inizio del 1944 che descriveva la scoperta della streptomicina. Schatz e Waksman poi scrissero altri due articoli subito dopo in cui ne descrivevano gli effetti battericidi e batteriostatici contro il micobatterio della tubercolosi, e le variazioni nei ceppi di Streptomyces griseus. Schatz fu indicato come il primo autore di tutti e tre i lavori, una posizione prestigiosa e importante in quanto indicava chi aveva contribuito maggiormente e condotto le redini dei lavori.

Nelle sue memorie Schatz racconta che all’epoca non vi erano dei precedenti di dottorandi primi autori di ben tre lavori che descrivono scoperte tanto importanti, e ritiene che Waksman come professore supervisore lo permise in quanto tutti nell’istituto sapevano che il lavoro se lo era sobbarcato quasi tutto il giovane microbiologo, non solo quello manuale ma anche quello di analisi e interpretazione. Negli anni immediatamente successivi iniziarono le prime sperimentazioni cliniche, per dimostrare l’efficacia nei pazienti e l’innocuità sui pazienti. Alcune delle prove iniziali furono fallimentari, ma presto la streptomicina si rivelò relativamente sicura ed efficace.

Schatz ottenne il suo dottorato, ma i problemi cominciarono con l’ipotesi di brevettare la scoperta. La legge statunitense impediva di brevettare sostanze reperibili in natura e l’ufficio brevetti riteneva che le tecniche impiegate per ottenere la streptomicina non fossero sufficientemente diverse da quelle già registrate. Ma Waksman convinse i funzionari che il composto estratto dal batterio presentava alcune differenze da quello presente in natura, grazie all’aiuto degli avvocati dell’azienda farmaceutica Merck, che aveva finanziato il dipartimento negli anni precedenti.

Nel 1946 Waksman insistette che sia lui che Schatz accettassero un simbolico Dollaro come “inventori” (entrambi equiparati) e che il brevetto andasse a beneficio di una fondazione legata all’università della Rutgers. Schatz accettò, anche perché voleva che la streptomicina venisse distribuita rapidamente e a costi bassi. Non sapeva che il suo professore aveva stretto un accordo per cui il 20% dei ricavati del brevetto sarebbero stati trasferiti a lui stesso. Non sapeva neanche che giornalisti e funzionari vari cominciarono a venire nell’ufficio di Waksman per intervistarlo, mentre Schatz rimaneva confinato nel laboratorio a lavorare. Lo venne a sapere nel 1949 e fece causa.

Waksman gli aveva mentito, rassicurandolo che non avrebbe percepito un centesimo, ma guadagnò centinaia di migliaia di dollari. La fondazione Rutgers, milioni. Dalle indagini legali emerse anche che Waksman aveva stretto un accordo segreto con la Merck in cui avrebbe fornito informazioni sui risultati ottenuti dal laboratorio, e condiviso i diritti di ulteriori futuri brevetti con l’azienda, a cui sarebbe andata l’esclusiva per la commercializzazione. Schatz non vide neanche un centesimo ed era stato tenuto all’oscuro di tutto.

Entrambi si attribuirono la paternità della scoperta e accusarono l’altro di voler rubare i meriti dell’altro.

Questa porcata si risolse almeno in parte il 29 dicembre 1950, con Schatz che ricevette una piccola percentuale di quanto gli era dovuto dal brevetto e il diritto a essere riconosciuto quantomeno come co-scopritore. Waksman continuava a ricevere il grosso degli introiti, ma erano ridimensionati, e la sua reputazione era stata macchiata. Era un accordo un po’ micragnoso che lasciava scontenti entrambi.

Robert Clothier, presidente della Fondazione Rutgers, produsse un comunicato in cui ribadiva che Schatz era il co-scopritore della streptomicina sin dal 1945. Ma non fece cenno del fatto che nei due anni precedenti omise il suo nome da tutti i rapporti sui risultati delle ricerche condotte nell’università che aveva inviato allo stato del New Jersey, l’ultimo un paio di mesi prima in cui aveva riferito al governatore che Waksman era “lo scopritore della streptomicina”. Quando si dice avere la faccia di bronzo.

Non fu solo Schatz a ritrovarsi buggerato: Elizabeth Bugie avrebbe potuto essere inclusa nel brevetto per il suo contributo nei test di conferma e per essere stata inclusa nella pubblicazione iniziale del 1944 tra gli autori, ma le venne detto che non era importante che partecipasse in quanto si sarebbe sposata e avrebbe messo su famiglia (sic!). Waksman le fece sottoscrivere un documento in cui lei dichiarava che non ebbe alcun ruolo nella ricerca della streptomicina e che ne fu informata dagli altri due. Era un giuramento, ma fatto da una persona di una categoria svantaggiata (una donna negli anni ’40…) e in posizione di potere svantaggiosa (una studentessa rispetto a un emerito professore e capo di dipartimento da cui sarebbe potuta dipendere la sua carriera).

Era in realtà una clamorosa menzogna contraddetta dallo stesso Waksman, che durante la battaglia legale con Schatz affermò che Elizabeth Bugie e un’altra studentessa, Christine Reilly (chiamandole miss anche se ormai erano dottoresse), avevano contribuito tanto quanto se non più del suo ex-allievo. Il tutto allo scopo di ridimensionare il suo lavoro e minimizzarlo come parte di un insieme di piccoli contributi coordinati e indirizzati dal sapiente supervisore che traccia la via e imposta il lavoro. Anni dopo, le figlie di Bugie avrebbero riferito che sua madre una volta disse con rammarico che se il movimento femminista fosse stato in azione, lei sarebbe stata inclusa nel brevetto. Schatz sostiene che lei si sarebbe limitata a confermare alcune delle sue scoperte iniziali. Ma viene da chiedersi se forse, pur da studentessa, non abbia giocato un ruolo più grande.

Nel 1952 Waksman ricevette il premio Nobel per la medicina “per la sua scoperta della streptomicina, il primo antibiotico efficace contro la tubercolosi”. Di Schatz, nemmeno una menzione. I dottorandi erano considerati un po’ manovalanza rispetto ai capi di dipartimento che impostavano le linee di ricerca. Come sarebbe accaduto a molte altre persone, per esempio Jocelyn Bell per l’astrofisica. C’è chi ritiene che la carriera di Schatz sia stata compromessa proprio per aver osato sfidare in tribunale un illustre capo di dipartimento, e anche per avere avuto l’ardire di scrivere alla commissione Nobel chiedendo di correggere l’errore.

Schatz avrebbe pubblicato le sue memorie in un articolo del 1993, in occasione dei 50 anni della scoperta e in risposta a un altro articolo dello Smithsonian che conteneva diverse imprecisioni (in particolare la pretesa che la scoperta della streptomicina fosse stata fortuita, mentre Schatz ci teneva a ribadire che stava direttamente e intensamente cercando un antibiotico efficace contro la tubercolosi). Voleva raccontare la sua versione della storia.

Nature, nel 2002, avrebbe pubblicato un articolo di Peter Lawrence che parlava di “ingiustizia di grado” per parlare di casi simili, e quello di Schatz fu uno degli esempi cardine del problema descritto. Ma non tutti sono d’accordo. E se avete prestato attenzione alla lettura di questo articolo, avrete notato che gli aggettivi che ho usato fanno percepire un buono e un cattivo, ma anche che come già detto questa è la versione dei fatti di Schatz, da lui raccontata.

Scettico, William Kingston due anni dopo l’articolo di Nature avrebbe risposto con un altro articolo in cui faceva riferimento in particolare a indagini di S. Epstein che favorivano la visione di Waksman, e denunciando che la reputazione di quest’ultimo veniva ingiustamente macchiata. Nell’articolo dice innanzitutto che Waksman fu l’autore delle condizioni che permisero quel lavoro e delle metodiche che permisero di scoprire quello e tanti altri antibiotici. Senza i fondi da lui ottenuti fin dal 1939 e forniti dalla Merck, non ci sarebbe stata nessuna scoperta. Tali finanziamenti implicavano stando alla sua dissertazione diritti legittimi sui brevetti scaturiti dai risultati delle ricerche sponsorizzate dall’azienda, e l’idea di Schaltz che lavora da solo senza il contributo di Waksman era una distorsione dell’opera di guida di quest’ultimo, incluso l’assegnare a Bugie il compito di confermare i risultati, e il fatto che è vero che il professore non visitò mai il laboratorio, ma l’allievo visitò spesso l’ufficio del professore: “Just as the rewards of investment go to those who make the investment, so the primary credit for discoveries must now go to those who initiate and direct the research that leads to them.”

Waksman ebbe l’indiscusso metodo di promuovere un cambiamento di metodi nel modo in cui la ricerca farmacologica si mise a cercare molecole utili, e fu questo per Kingston il perno di tutto. Personalmente, ritendo che questa posizione sia analoga al dire che John Randall e Lawrence Bragg avrebbero dovuto vincere il Nobel nel 1962 perché impostarono i paradigmi che permisero di determinare la struttura del DNA. Alla fine, furono loro a mettere i protagonisti di quelle vicende al loro posto, e a sviluppare molte delle tecniche che utilizzarono, no?

L’articolo ricorda poi che la parte più importante fu l’immenso lavoro di sperimentazione clinica su pazienti e di realizzazione di un farmaco distribuito nel mondo, cosa di cui si occupò la Merck. Perché scoprire un antibiotico è un passo, ma trasformarlo in un farmaco capace di salvare la vita a milioni di persone è un balzo molto più grande. Questo è vero, ma ciò non toglie il merito di Schatz. Anche Alexander Fleming non fu solo nel vincere il Nobel nel 1945 per la scoperta della penicillina, lo condivise con Ernest Boris Chain e Howard Walter Florey che purificarono il composto di modo da trasformarlo in un farmaco ed effettuarono le prime sperimentazioni cliniche. Per l’appunto fu un premio condiviso. A Schaltz ciò fu negato.

La parte più spigolosa è la considerazione che quello che fece Schaltz lo avrebbe potuto fare chiunque altro, e il fatto che tra le firme del manoscritto sulla scoperta della streptomicina ci fosse anche una studentessa capitata al momento giusto come Bugie dimostrerebbe che alla fine dipende dal caso chi sia autore o autrice di una scoperta, quando si applicano tecniche di screening di massa come quelle sviluppate da Waksman. Se lei avesse lavorato alle culture di Schatz, o se Jones avesse dato la piastra con i campioni dalla gola di pollo a lei, allora Bugie avrebbe ottenuto gli stessi risultati, e all’epoca l’idea generale era che perciò non contasse chi materialmente aveva ottenuto la scoperta, ma chi aveva fatto in modo che fosse possibile realizzare quella scoperta.

Pare poi che dal quaderno di laboratorio di Schatz mancasse una pagina, che a giudicare dall’ordine degli altri appunti doveva riguardare l’isolamento di quei due ceppi di Streptomyces griseus. Perché fu rimossa? Secondo Epstein avrebbero potuto mostrare che la scoperta della streptomicina sarebbe stata accidentale, a seguito di una contaminazione di una piastra di coltura da parte di una spora di Streptomyces, cosa che era facile avvenisse.

Lascio a voi gli approfondimenti qui sotto.

Riferimenti:

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.